Risale al 2020 la notizia dell’approvazione dell’Unione Europea riguardo le etichette alimentari per salvaguardare il benessere degli animali.
Una comunicazione chiara e trasparente dovrebbe essere garanzia principale per ogni consumatore. Ed è anche per questo motivo che l’UE ha deciso di aggiungere ulteriori etichette alimentari per garantire maggior trasparenza riguardo il trattamento degli animali negli allevamenti intensivi per la produzione di carne, pesce e derivati.
Gli obiettivi
- Migliorare la qualità della vita degli animali all’interno degli allevamenti intensivi
- Aumentare credibilità e trasparenza dei mercati europei
- Informare il più possibile i consumatori riguardo le proprie scelte alimentari
Trasparenza e comunicazione
Questo è ciò che dovrebbe trovarsi alla base dell’industria alimentare tutta. I consumatori devono essere informati adeguatamente riguardo le proprie scelte alimentari, senza sottomissioni o giri di parole per salvaguardare alcuni segmenti di mercato.
Gli allevamenti intensivi
Quello che subiscono gli animali negli allevamenti intensivi, è qualcosa che difficilmente si può ignorare nel 2021. Tantissimi consumatori indignati prestano sempre più attenzione alla propria alimentazione, favorendo e stimolando la crescita di realtà alimentari biologiche e/o vegetali.
Il vegetarianesimo e il veganesimo, per lungo tempo sono stati percepiti come una moda passeggera. Oggi sono finalmente considerati dei veri e propri stili di vita.
I movimenti hanno resistito ad ogni tentativo di screditamento, dimostrando con dignità quanto l’essere umano sia un animale capace di adattarsi (per istinto di sopravvivenza) alle circostanze della vita.
Grazie alle avanguardie tecnologiche, è stato più facile favorire l’immissione sul mercato di molteplici realtà vegetali e – soprattutto – permettere alle persone di informarsi adeguatamente.
Queste esigenze – sempre più incalzanti – hanno reso necessario prendere ulteriori provvedimenti per favorire le realtà industriali che lavorano nel rispetto e del normale ciclo di vita degli animali (per quanto questo possa essere ancora possibile nel mondo industriale).
La maggior parte delle industrie adotta ancora “l’approccio standard” fatto di maltrattamenti e di soprusi nei confronti di qualsiasi animale allevato (la domanda supera giorno dopo giorno l’offerta e questo significa dover sopperire a quantità di carne, pesce e derivati sempre maggiori che prevedono l’adozione di comportamenti disumani e alienanti).
Nonostante ciò, bisogna spezzare una lancia a favore delle altrettante realtà di nicchia che stanno cercando di farsi spazio nell’industria alimentare, quelle realtà che provano a distinguersi puntando a una produzione alimentare minore, che sia però di qualità.
Perché la carne degli allevamenti ci fa male?
Quando parlo di produzione di qualità, non parlo solo dei modi in cui vengono trattati gli animali. Parlo anche del prodotto finale. Quella carne succulenta che si acquista nei supermercati, o dai macellai, che spesso siamo disposti anche a pagare oro pur di avere (e magari, ne acquistiamo più di quanto ne avessimo bisogno. Non la consumiamo. Scade. La buttiamo).
Non molti sanno (e devo dire che nel 2021 quest’aspetto risulta essere molto grave) che i metodi violenti e senza umanità con cui vengono trattati gli animali negli allevamenti, non aiutano a produrre carne di qualità che faccia bene alla nostra salute.
Gli animali che vivono in condizioni innaturali, che vengono quotidianamente violentati e maltrattati, accumulano un’enorme quantità di endorfine (a causa della paura). Queste finiscono dritte dritte nei nostri piatti al momento della consumazione della prelibata cenetta.
Lo so, strano a dirsi, ma gli animali provano emozioni e dolore esattamente come gli esseri umani.
“Ma la carne fa bene, è fonte di ferro!” Quante volte l’avrò sentito dire.
Forse una volta era vero. Quando la produzione era naturale e gli animali venivano rispettati e mantenuti sereni per produrre carne di vera qualità.
Oggi dobbiamo ritenerci fortunati se non contiene antibiotici e se le condizioni igienico-sanitarie dell’allevamento sono consone alle norme europee…
La verità è che una carne piena di endorfine finisce solo per incattivirci. Sì, perché probabilmente non sapete nemmeno questo, ma il nostro corpo è una spugna: assimila tutto quello che gli ficchiamo dentro. Nel bene e nel male.
Le endorfine animali della paura hanno un effetto che produce aggressività nell’essere umano.
Le peggiori pestilenze hanno avuto sempre origine dagli animali
- 1986, Morbo della mucca pazza. Origine: allevamenti di manzo inglesi
- 2002, SARS-CoV-2. Origine: Allevamenti di zibetti cinesi
- 2003, Aviaria. Origine: Allevamenti di polli, galline e tacchini cinesi
- 2009, Influenza suina. Origine: Allevamenti di maiali messicani e americani
- 2012, MERS-CoV. Origine: allevamenti di cammelli e dromedari in Arabia Saudita
- 2019, Covid-19. Origine: mercato della carne cinese
Sei volte è solo una coincidenza?
Non credo serva aggiungere molto altro per comprendere la necessità di introdurre etichette alimentari che esplichino e differenzino ulteriormente l’enorme e difficile industria alimentare animale.
Le incertezze riguardo la trasparenza
Nonostante i buoni propositi sulle etichette alimentari, proprio poche settimane fa sono insorte molte perplessità a riguardo.
Come al solito, si comincia bene e si finisce peggio. Le etichette alimentari “benessere animale” ad oggi sono consentite anche per le produzioni di alimenti animali tradizionali. Il che fa perdere totalmente valore alla legge.
Ancora una volta, il tentativo è quello di confondere, non di garantire chiarezza.
Tra due prodotti, entrambi etichettati “benessere animale” nel quale il primo costa €10 e il secondo €5, qual è quello che sceglierà il consumatore? Ovviamente quello più economico. La sua scelta sarà dettata dal risparmio perché crederà di avere tra le mani due prodotti identici la cui unica differenza è il prezzo.
Da questo pericolosissimo meccanismo, è nata la proposta di legge 2403 della deputata LeU Rossella Muroni per un sistema volontario di etichettatura dei prodotti di origine animale e due diverse proposte di etichettatura basate sul metodo di allevamento, sia per i suini, sia per gli allevamenti delle vacche da latte. Presentati nei mesi scorsi da Ciwf e Legambiente, con i quali si chiede di indicare chiaramente le caratteristiche principali di allevamento sulle confezioni di carne.
Ma anche qui la chiarezza non è abbastanza.
Infatti, da questa proposta sono escluse scrofe e suinetti. Inoltre, questo progetto prevede solo due livelli di identificazione della tipologia di allevamento (al chiuso o all’aperto) eliminando tutti i livelli intermedi in cui esistono tantissime realtà di allevamento più “accomodanti” in cui, anche al chiuso, gli animali vengono lasciati fuori dalle gabbie per cercare di favorire loro maggior spazio (per quanto possibile).
Manca anche la certificazione a più livelli per gli allevamenti al chiuso. Questo sistema a livelli consentirebbe agli allevatori di progredire verso stadi sempre migliori avvalendosi anche di finanziamenti pubblici che potrebbero, di volta in volta, migliorare anche la qualità della vita degli animali.
Al momento le bozze dei documenti vengono redatte al chiuso dai ministeri e non è permesso neanche alle organizzazioni animaliste attive sul territorio di contribuire alla revisione. È per tutti i motivi sopra elencati che queste stesse organizzazioni si definiscono scettiche e preoccupate che, quella che apparentemente dovrebbe essere una proposta di miglioramento e trasparenza, potrebbe compromettere totalmente la consapevolezza delle scelte d’acquisto dei consumatori e peggiorare ulteriormente la qualità della vita degli animali negli allevamenti intensivi.
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