I cantucci toscani sono un must have della tradizione italiana nel mondo. Le loro origini sono antichissime e la ricetta ha subito molte variazioni e aggiunte nel corso dei secoli.
Pare fossero già presenti nel XVI secolo ma che si siano affermati solo tra il 1500 e il 1600. Inizialmente non venivano realizzati con le mandorle, infatti la prima versione prevedeva fior di farina, zucchero e albume d’uovo.
È nell’800 che le mandorle entrano ufficialmente nella ricetta dei cantucci tradizionali.
Ma perché cantucci?
Dal taglio diagonale in fette che riconduce al “canto” (ovvero angolo) di pane.
Differenze tra cantucci e biscotti di Prato
Molto spesso i cantucci vengono confusi con i biscotti di Prato, proprio perché sono in molti ad attribuire la loro origine a Prato, grazie alla mano sapiente del pasticciere Antonio Mattei.
Eppure, sono molte le differenze che è bene sottolineare tra il cantuccio e il biscotto di Prato.
Le differenze sono minime, è dunque da giustificare la confusione dei palati meno esperti.
I biscotti di prato hanno conservato una genuinità che esclude l’aggiunta di lieviti, grassi o aromi. Mantenendo viva la tradizione della semplicità dei panificatori pratesi di un tempo, la ricetta è rimasta tradizionale. Unica differenza sta nella cottura: se un tempo il biscotto di prato veniva cotto due volte per aumentarne la “biscottosità” e garantire una lunga conservazione, oggi si predilige la freschezza e la consumazione immediata del prodotto. Dunque, una sola cottura.
Il matrimonio con il vin santo
Il binomio cantuccio vin santo è inconfondibile. La tradizione infatti vuole, che il cantuccio – essendo un biscotto molto duro – venga ammorbidito “inzuppandolo” nel vin santo.
Questa è un fine pasta d’eccellenza in Toscana.
Le origini del nome sarebbero antichissime, esattamente come la procedura di preparazione.
Nel 1348 l’Italia era afflitta dalla Peste Nera. Sembrerebbe che un frate francescano utilizzasse il vino per curare gli appestati durante la sua omelia. Quello fu uno dei primi momenti in cui si diffuse la convinzione che il vino avesse proprietà miracolose e curative.
Poi, nel 1439, durante il Concilio di Firenze, parrebbe che il metropolita Giovanni Bassarione avesse esclamato “Questo è il vino di Xantos” mentre ne beveva un calice.
Chi si trovava con lui a tavola, credette che stesse alludendo a qualche proprietà miracolosa del vino. Invece, molto probabilmente, Bessarione voleva indicare un vino passito di Santorini.
Le tipologie
Sono varie le varianti del vin santo, tra le principali abbiamo:
- Il trentino
- L’emiliano
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Secondo l’azienda vinicola di Gaiole in Chianti (Siena), il gesto di intingere il cantuccio nel vin santo andrebbe proibito. Parrebbe che questo alteri il vino stesso e i suoi profumi.
Nonostante i promotori del divieto dell’inzuppo, resta una tradizione conclamata quella di intingere il cantuccio nel vin santo. E a prescindere dal parere di esperti e puristi, il gusto resta inconfondibile e irrinunciabile.
E quindi se proprio dobbiamo farlo ‘sto peccato di gola, facciamolo bene signori miei!
Lunga vita al cantuccio inzuppato nel vin santo!!