Settant’anni di Pasta alla Carbonara (e non sentirli) ricorrevano lo scorso 6 aprile. Il super primo piatto è sempre nuovo e rielaborato dagli chef più importanti al mondo come anche in veste fai da te in ogni cucina italiana, rievocando la tradizione gastronomica romana che è stata il “genio della lampada”. Il 6 aprile in particolare, ormai da otto anni con questo, si celebra il “Carbonara Day”, in cui ormai circa due miliardi di “food lovers” o meglio “pasta lovers” si sintonizzano sul web e Social Network presentando il loro stile e metodo di preparazione per la Carbonara per condividere con gli altri amatori. Ad ideare nel 2017 questa festa virtuale a cui va scolpito l’hashtag #carbonaraday sono state Unione Italiana Food (Uif) e International Pasta Organization. L’evento ha richiesto un appiglio di documentazione fotografica, pubblicando lo scatto della propria versione di questa specialità. La storia della ricetta si incardina nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, in quanto pare che gli artefici siano stati i soldati americani che hanno colto la manna dal cielo con gli spaghetti italiani amalgamandoli agli ingredienti disponibili nelle loro “razioni K”, guarda caso Bacon e uova in polvere. Ulteriore ipotesi protagonista è lo chef bolognese Renato Gualandi, che potrebbe essere stato il primo ad inventarsi la Carbonara, per andare incontro nel 1944 ai gusti dei generali delle truppe Alleate. Ma perché il nome Carbonara? In effetti, si racconta che i pastori o carbonai attrezzassero la loro sporta di latta con gli spaghetti conditi con uovo e pancetta. Ma è una diceria romantica per legarsi alla civiltà contadina. Invece, la prima ricetta ufficiale e accreditata di pasta alla Carbonara nella Penisola viene pubblicata, ad agosto 1954, sulla rivista “La Cucina Italiana”, dove qualche digressione sul tema di produzione compare con aglio e groviera, oltre ai risaputi pancetta, uova e pepe.
Il cibo è sempre un ottimo pretesto per mettersi in competizione nei contest tra chef, personaggi traino del Circuito Social e varie tipologie di locali che siano trattorie, osterie e bistrot e figurarsi con una pietanza così saporita e laboriosa come la Carbonara che si presta ad inerpicarsi su varianti dell’origine capitolina.
Partendo dalla Sicilia per sondare un’atmosfera sostanzialmente opposta come territorio, abbiamo voluto conoscere le abitudini o meglio l’elasticità degli chef della Trinacria. Ci siamo tuffati nel palermitano con la destrezza de “Il Pastaio Matto” ovvero il noto Salvo Terruso che ci propone una Carbonara tutta siciliana con l’impiego del Guanciale di Sant’Angelo di Brolo a base di Maialino Nero dei Nebrodi, del Pecorino Siciliano tra la zona di Monreale, del Ragusano e ancora Messinese che hanno una spinta in più per la loro stagionatura. “La Carbonara di antico lignaggio vuole una parte di Pecorino romano e una parte di Parmigiano – ricorda Terruso – e poi il tuorlo deve creare una specie di frittatina: molti preferiscono il criterio dell’uovo che ‘s’appigghia’ (cioè si rapprende), una consistenza strapazzata che si intreccia al pecorino. Io prediligo il guanciale che è la parte della guancia appunto ed è quindi più raffinata e secca in bocca rispetto alla pancetta che resta più morbida. La percezione dipende anche dalla varietà del maiale: i nostri sono più teneri perché vengono trattati e speziati con bacche rosse, pepe bianco e rosmarino; nel Lazio, in Sardegna e Trentino Alto Adige si preparano solo con pepe nero”. “In Sicilia si cercano sapori forti” – conclude chef Terruso che per la sua versione adopera i mezzi rigatoni o rigatoni. Ultimamente, si è affacciato alla pasta fresca di grano duro e non all’uovo perché la pasta fresca rilascia amidi e fa aumentare la cremina. Terruso lavora molto con la busiata trapanese e la utilizza anche per l’Amatriciana (anche se gli specialisti non transigono sulla scelta dei bucatini). E a proposito di busiate, queste assorbono bene un altro tipo di condimento ossia “cu’ riquagghiu” che è l’uovo sbattuto con una frusta manuale insieme ad erbe e aromi, a cui si uniscono pane raffermo e fritto, cacio grattugiato, sale, pepe e prezzemolo. Una versione che parla la lingua moderna vegana, per quanto la sua realizzazione si reperisca in volumi di ricette del XVII secolo.
Spostandoci sul Messinese, nella Carbonara si tenta un’altra chicca già in menù al Ristorante Boutique “I Ruggeri”: la lady chef Ambra Gigante al posto dell’uovo inserisce il macco di ceci e poi pecorino romano, Guanciale dei Nebrodi e pepe nero con i tagliolini all’uovo fatti in casa. In quella dello chef Graziano Faciano dell’iconico “Ristorante Piero” di Piero Scibilia al centro città peloritano, registriamo la padronanza del mare che si trova nella variante con il trancio di pesce per esempio tonno o pesce spada che va a sostituire il guanciale mentre le uova di pesce (in base alla stagionalità) sostituiscono la “carbocream” quindi possono essere di Mupo, Dentice o San Pietro. Lo specialista in questione ha esercitato per undici anni alle Isole Eolie, nella meravigliosa Panarea e risente di questo influsso anche in questi ultimi due anni di attività da “Piero”.
Un’altra lady chef dell’area mamertina Chiara Surdo de “Il Bagatto” – Milazzo è radicata alla tradizione della Carbonara Laziale e può al massimo aggiungere il tartufo nero delle Marche, visto che l’uovo di per sé richiama il tartufo.
Arrivando nell’altra Città Metropolitana della Sicilia Orientale ovvero Catania ad esporre una Carbonara originale è la lady chef Alessandra Ragusa del Ristorante “Piazza Scammacca” che mantiene invariati gli ingredienti di partenza però si discosta solo per il Pecorino Romano che viene soppiantato dal Pecorino Siciliano e utilizza gli spaghettoni autoctoni trafilati al bronzo.
La Città di Siracusa ci sorprende con una Carbonara trasformata in Raviolo, con all’interno e all’esterno il condimento della Carbonara, un doppio momento di libidine per il palato e per i sensi. Il riferimento per questo virtuoso approccio è il ristorante decennale “Le 7 Spezie” di proprietà della coppia Francesco Grioli di origini messinesi e Mariana Checherita che è pure la chef dell’attività. Lo studio di questo primo piatto è stato già apprezzato nel loro menù e si tratta di una pasta artigianale forgiata dalla chef e riempita con la carbocream che si avvale degli ingredienti siciliani quali le uova e il Guanciale di Maialino Nero del Nebrodi ma poi torna alla capitale italiana con il pecorino romano e il pepe nero, rigorosamente senza parmigiano. Lo stesso sugo va a guarnire il raviolo in uscita con una consistenza sempre molto cremosa, da ricetta Dop.
Una nota a parte va segnalata in uno dei luoghi più affascinanti da visitare e dove mangiare in Sicilia – a Modica Alta nel Libero Consorzio comunale di Ragusa e, in dettaglio, a “La Locanda del Colonnello”, guidata dallo chef Francesco Mineo e indicata dalla Guida Michelin nel 2024 come Bib Gourmand. Qui il patron della cucina ci propone una “Carbonara tutta ragusana” per quanto lui sia e rimanga di natali palermitani (perciò non viene etichettata così perché non è la politica del locale!). A “rubare il podio” all’Uovo è la Fava Cottoia, presidio Slow Food e tipico di queste vallate nella Modica Alta, con cui si prepara un Macco di Fave, per poi integrare il Ragusano DOP, lo Zafferano di Buccheri (comune dell’hinterland), il finocchietto selvatico e il pepe nero, al fine di addensare e piccare la crema (anche se ci vorrebbe il peperoncino rosso anziché il pepe, precisa lo chef). Ma l’ingrediente più di zona che esista è la pancetta di Suino Nero degli Iblei (quindi ci si schiera con i fruitori e puristi della pancetta per ottenere più grasso) che non è un salume e non viene trattato come tale: viene stufato e sfilacciato sulla pasta. E parlando di pasta eccellente, in quest’area la tipologia artigianale più celebre è rappresentata dai Lolli, fatti a mano a bastoncino dal ristoratore con acqua e farina (senza uovo), che vengono assolutamente decantati dallo chef Mineo. Il piatto povero di punta proprio nel Modicano è “Lolli che favi” (tradotto dal dialetto Lolli con le fave).
Lo chef ci descrive anche un’altra vivanda che suggerisce alla lontana la Carbonara ma di memoria palermitana (la frittatedda) che è più una zuppa di verdure con fave, cipollotti e piselli, su cui si versa l’uovo rappreso con il formaggio di fattura stagionata.
In una zona bellissima e archeologica di Ragusa, per l’esattezza Ispica, la versione Carbonara con il formaggio DOP del territorio ovvero il Ragusano DOP, con tre mesi di stagionatura, viene targata dallo Chef Francesco Iemmolo nel Ristorante “La Moresca” del Relais Torre Marabino di Ispica. Anche per questo professionista che lavora da tre anni nell’elegante struttura ricettiva, la preferenza ricade sul Guanciale dei Nebrodi; per il resto, la tecnica di preparazione è identica al copione romano.
La stessa idea viene applicata anche ad Enna con lo chef Giuseppe Rinallo che adotta invece la materia prima DOP del suo hinterland – l’ottimo “Piacentinu” ennese che è sempre un pecorino a pasta dura, stagionatura breve o media, fatto con latte crudo di ovino, con aggiunta di Zafferano di Valguarnera Caropepe Oro Rosso, Olio Evo “Lustro di Luna” Tenuta Bauccio di Pietraperzia con la peculiarità di una raccolta di olive alla luce della luna per conservare le caratteristiche organolettiche fino ad avere un blend fruttato di autoctone siciliane (Nocellara Messinese, Tonda Iblea, Moresca), ancora con aggiunta di uno Sciroppo di Fiori di Sambuco (pianta molto adottata nella Città di Troina) per profumare il tuorlo d’uovo e in più grani di Pepe Nero. Il “Piacentinu” ha un curioso aneddoto risalente all’aristocrazia dell’IX secolo. In dialetto deriva da “piacente” “che piace” o da “piangente” perché trasuda goccioline di grasso oppure dalle lacrime della regina che il re normanno Ruggero II volle curare con il rimedio del formaggio: la sua consorte che soffriva di depressione è stata in qualche modo risollevata dai casari locali che hanno realizzato questo latticino su mandato del sovrano. Al di là della leggenda o della veridicità, è interessante riportare la memoria di queste località e borgate anche in dei piatti nazionali e internazionali che possono avere una nuova vita, grazie alle prelibatezze agroalimentari siciliane, come anche nel caso del Guanciale dei Maialino Nero dei Nebrodi che, sottolinea lo chef Rinallo, abbracciano anche i comuni ennesi di Nicosia e Cerami.
A Caltanissetta, abbiamo visitato nel centro di Montedoro il delizioso ristorante “Le Cupolette Rosse” di Giuseppe Agnello che ci illustra, tramite lo chef Salvatore Agnello, una variante “quasi” vegetariana che valorizza i prodotti caratteristici della provincia e dintorni: al posto del guanciale si va a realizzare un soffritto con il Carciofo di Niscemi e la Cipolla di Castrofilippo (al confine tra Caltanissetta ed Agrigento) mentre si crea la carbo – cremina con il Tuorlo d’Uovo, il Pecorino Siciliano (altra diversità rispetto a quello d’origine laziale) e il pepe nero. Sicuramente, si tratta di un’altra bontà che si può reperire per altri quindici giorni vista la durata di stagione dei Carciofi di Niscemi, che poi riappariranno dopo l’estate.
Nel comprensorio di Trapani, “Al Vicoletto Ristorantino Tipico” la titolare e chef Emanuela Grimaudo non intende snaturare la cucina tradizionale della sua terra ed ammette una Carbonara che rispecchi le linee guida. Pur riconoscendo la validità delle sperimentazioni che per esempio motiva nell’Amatriciana in quanto utilizza la Ventresca di Tonno al posto del guanciale per la sua simile grassezza, la signora chef non mescolerebbe mai l’Uovo nel pesce perché ritiene che questa procedura sia una “bestemmia”: tutt’al più al posto dell’uovo impiegherebbe le uova di pesce, magari di Sgombro (alla stessa stregua del collega messinese, come raccontiamo nel nostro articolo, in funzione del pescato della stagione), così potrebbe adoperare la ventresca di tonno anche per la sua “trascrizione” di Carbonara.
L’Operazione “Carbonara in Rosa” è riuscita con un quintetto al femminile di chef di Roma e zone limitrofe – Barbara Agosti di “Eggs”, Simona Bontà de “Il Pescatorio”, Francesca Ciucci de “La Ciambella Bar à Vin con Cucina”, Elisabetta Guaglianone di “Proloco Trastevere” e Valentina Paci di “Portale 21 Opificio di Cucina” – che hanno onorato la Carbonara sia con la classicità sia con la reinterpretazione da assaporare nelle proprie attività. La chef Agosti in particolare ha congegnato, già dal 2023, la “Carbonara Street Food” che è un boccone tutto da scoprire, per non rinunciare alla pasta mentre stai passeggiando.
Nel mondo, la Carbonara ha raggiunto livelli di estremismo che fanno restare a bocca aperta per le ostentazioni che non si rivelano, di certo, sempre Gourmet. La ricerca dei Pastai Italiani è già datata all’anno precedente ma ci fa comprendere come il Globo sia una fonte inesauribile di Assaggiatori Seriali che attingono comunque dalla tradizione.
La “no cream Carbonara” è espressione del Kenya mentre la “Almost Carbonara” in India, toglie l’uovo però compensa con broccoli, mais, latte di soia e salmone scottato. Nel Delaware collocato sulla East Coast degli Stati Uniti, oltre alla sottrazione delle uova, eliminano pure il formaggio: la variante si chiama “Paleo”, con zucchine, cipolla e con pasta di farina di kassava. In Francia, non si sono fatti mancare il carbonara-gate già otto anni fa, in quanto la proposta lanciata è col prosciutto e con l’uovo stracciato. Gli scienziati del Cern, in Svizzera, provvedono a bollire la pancetta e ad accompagnare il piatto con un contorno di verdure grigliate mentre la pasta in sé risulta scotta. Il Texas accoglie la Udon Carbonara; in Missouri si cimentano con pancetta, scalogno e bacon croccante; in Florida con le capesante. La versione più inaccettabile emerge dalla California, con cavoletti di Bruxelles e viene abbinata con pane all’aglio, pollo e gamberi. L’Italia approda ad un genere con frutta secca al pistacchio e burro.
Non possiamo terminare senza puntualizzare che dal Sud dello Stivale, dove le versioni marinare o con i vegetali autoctoni impazzano, abbiamo potuto valutare al Nord la comparsa di versioni alla frutta e cinematografiche. Esempi sono in Toscana ad Anghiari – Arezzo, una tipologia a base di Mango che ha sostituito il tuorlo d’uovo per formare la cremina nel locale trendy “Franchising Cocomerò – ristorante e bar”, all’esordio chiosco e poi ristorante della frutta, nato nell’estate del 2000 da un’idea di Alessandro Landini (detto il “Lupo”) e Angelica Nicchi. Il sito medievale Anghiari appartiene alla storia di Leonardo da Vinci, in quanto ha ispirato l’artista con l’opera significativa “Battaglia di Anghiari”, in quello che è diventato uno dei borghi più belli d’Italia. E ancora, a Milano quartiere Brera, il secondo Ristorante “Eggs” di Barbara Agosti (dopo quello a Roma in zona Trastevere che ha osannato il concetto dell’uovo nell’arte culinaria), aperto l’8 marzo, ha rilanciato “Carbonara galeotta”, facendo un tributo all’eccentrico attore Ugo Tognazzi, oltre che amante di gastronomia e ricette irriverenti. Questo piatto “sbaglia” volutamente le materie prime e si butta su una squisitezza decisamente iper calorica con burro, panna, prosciutto crudo, bacon, peperoncino e brandy, come elementi innovativi. In comune alla vecchia versione, solo il parmigiano. Non sapremo mai se Tognazzi avrebbe apprezzato ma, senz’altro, questa contaminazione visionaria non è affatto carente di personalità, come lo schietto interprete di “Amici Miei”.